“La mia storia è abbastanza comune a moltissime persone, la cosa più importante che racconto sempre è quello che mi collega ai giovani, perché ognuno di noi ha un sogno. Ognuno di noi fa degli studi, sogna e vuole diventare qualche cosa.” Così inizia l’intervista rilasciatami dall’Onorevole Cécile Kyenge Kashetu, ex ministro dell’integrazione e deputata al parlamento Europeo, lunedì 17 ottobre presso la sede della Federazione PD di Modena.
Tutto parte da un sogno, diventare un medico, per cui ha lottato fin da bambina e che poi l’ha portata dalla Repubblica Democratica del Congo, in Italia negli anni 80, quando l’immigrazione era ancora un processo sporadico e il capo espiatorio degli xenofobi erano gli italiani del sud.
Una donna di grande coraggio che ha più volte dimostrato di essere combattiva e perseverante. Oltre a realizzare il suo sogno personale, si è anche dedicata alla collettività iniziando come consigliere di quartiere, attivando un programma di integrazione nel suo ambulatorio oculistico e scendendo nelle piazze da attivista. “scendevo per le strade, conducevo movimenti di persone e allo stesso tempo lavoravo per creare le condizioni per una cooperazione internazionale. Ero su due fronti: da una parte era quello per difendere i deboli dell’Italia e dall’altra parte, quando ho finito di studiare e ho cominciato a lavorare, ho iniziato a portare delegazioni di medici in Africa, (Medico Safari) andando ad insegnare nelle università e a curare nei villaggi”.
Fautrice di tante attività di cooperazione e integrazione come la Rete primo Marzo, lo sciopero dei lavoratori stranieri per far capire che senza gli stranieri l’economia italiana non può andare avanti; Il progetto Forum immigrazione, attraverso il quale ha portato il PD a dare il voto agli stranieri; Europafrica, il progetto di valorizzazione del capitale umano affrontando il problema della disoccupazione e della mobilità giovanile in Europa e in Africa; il progetto Europanostra sull’immigrazione e l’asilo, e tanto altro, l’Onorevole ha poi sottolineato quanto tutto il percorso che sta affrontando, non sia per se stessa ma per noi. “Noi mettiamo le basi, ma non ne vedremmo i frutti. Voi li vedrete e quindi dovete crederci e andare avanti”.
Tanti sono stati gli argomenti trattati: come è cambiato l’immigrazione in Italia e le leggi, la politica, il multiculturalismo, il razzismo, l’integrazione e le cosiddette seconde generazioni. “In realtà c’è poco da parlare di integrazione perché le seconde generazioni non dovevano neanche essere chiamate così. Non siete seconde a nessuno, neanche a noi che siamo i vostri genitori. Siete dei cittadini italiani […] non è che dovete avere il marchio ‘seconda generazione’ per tutta la vita. Siete nati e cresciuti qui in Italia e quindi siete uguali agli altri“.
Parlando poi del suo arrivo alla carica di ministro espone quali sono le difficoltà dell’essere un politico nero qui in Italia. “È difficile essere un personaggio politico straniero, che non è neanche straniero, io andrei proprio secca ‘Nera’. Io ero al governo con Josefa Idem e lei non ha ricevuto gli attacchi che ho ricevuto io. […] Il problema è il colore della pelle. Se ti devo dire le difficoltà sono: perché nera, […] perché come donna dico sempre quello che penso e quello che bisogna fare senza preoccuparmi, ho studiato e parlo bene l’italiano […]. C’è anche uno stereotipo sulle donne nere di origine africana che fanno molti figli, che deve stare a casa, che non parla bene e quindi se ti trovi difronte ad una discussione cominci a urlare e agitarti. La gente si aspettava questo. Tant’è vero che alcune persone mi chiedono se sono di origine afroamericane, no, io sono di origine africana”.
Al mio post facebook che riportava la foto ricordo di me e l’onorevole Kyenge, qualcuno (per non citare il nome senza consenso del diretto interessato) ha scritto che “non è che se uno diventa ministro diventa bravo, se no Toninelli sarebbe genio”. Questo commento, sottolinea quanto le persone siano prevenute, come queste giudichino a priori senza conoscere la realtà delle cose, di come le persone vedono il risultato finale, ma non la fatica e il sudore versato. Ebbene si, è vero che se uno diventa ministro non è che diventa bravo, ma forse c’è chi lo diventa perché era bravo ancora molto prima di essere sulla scena mediatica; ma questa è tutta un’altra storia.
Niamke N. Lynda