Siamo nel villaggio del clan dei Mulongo. Una notte, scoppia un incendio devastante e dodici giovani uomini scompaiono. Nessuno sa chi sia il colpevo di tutto, ma una delle madri non si vuole arrendere e lascia il villaggio alla ricerca del figlio. Il capo clan Mukano si attiva cosi come anche suo fratello anche se lui è mosso dalla sete di potere.
Lungo il tragitto, i tre personaggi iniziano a scoprire una terribile verità: quella della tratta di esseri umani a opera degli “uomini dai piedi di pollo” (i bianchi).
Qui inizia il racconto di una storia di dolore, smarrimento e ricerca della verità di una comunità costretta a cambiare in modo traumatico i propri punti di riferimento. Ma è anche la storia di un mondo che si regge sul culto dei morti e degli antenati, sui riti di purificazione e d’iniziazione, un mondo fatto di magia e superstizione, in cui il dio sole cambia nome nel corso della giornata segnando lo scorrere del tempo e le donne si aggiustano l’acconciatura prima di andare a dormire per non fare brutti sogni. E proprio a loro è affidata l’unica speranza di salvezza: cantare le gesta del popolo mulongo per tenerne in vita il ricordo.
La stagione dell’ombra è un mix di generi: giallo per alcuni versi, opera antropologica per altri; ma al cuore è un reportage di un viaggio nella profonda Africa subsahariana che ti mette voglia di partire nonostante il tema crudo e difficile della schiavitù. In questo romanzo vengono messi in luce quelli che sono le caratteristiche dell’Africa e del suo popolo: i legami di sangue, le guerre tribali e il lamento dell’orrore. A tutto questo si accompagna anche la natura presentata attraverso i suoi elementi: il fuoco, l’acqua, il tempo che scorre e la bellezza di una terra che respira e parla chiedendo aiuto.
Come dipinto dell’Africa sub-sahariana, tra schiavitù e ritualità, c’è il dolore delle madri, che da un momento all’altro vedono sparire i propri figli; c’è la disperazione delle mogli, senza più i mariti e c’è lo sgomento e poi la rabbia degli uomini, incapaci di proteggere il proprio popolo.
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