• Mar. Dic 10th, 2024

FARAFINA'S VOICE

"La cultura non fa le persone. Sono le persone a fare la cultura. Il razzismo non dovrebbe esistere, però non vinci un biscotto se lo combatti" - Chimamanda Ngozie Adichie

I capelli nella storia del continente africano non sono mai stati capelli, ma un patrimonio culturale. Nel passato i capelli e le loro acconciature identificavano l’estrazione sociale di donne e uomini: più erano complicati e ricchi di ornamenti più importante era la persona. Molti gruppi etnici credono che i capelli abbiamo un carattere spirituale forte e grandi poteri visto che si trova nella parte più alta del nostro corpo; erano visti come il tramite tra il nostro mondo e il mondo delle divinità perciò intrecciare i capelli era una forma d’arte, tramandata dalle donne più anziane della famiglia, e le parrucchiere venivano considerate non solo figure sagge ma anche i membri più degni di rispetto della società.

I capelli degli africani hanno avuto un’evoluzione storica innarestabile: nella tratta degli schiavi uomini e donne venivano rasati per privarli di tutta la loro identità; da schiavi non avendo modo e tempo di prendersene cura, i capelli delle donne erano intrecciati in semplici acconciature che fungevano anche da nascondiglio per i sementi (riso e frumento) nell’eventualità di una fuga. Poi sono arrivati i pettini incandescenti stiranti di Garet Morgan (1906) e successivante i relaxer con lo scopo di eliminare gli infiniti nodi e rendere i capelli sempre piu simili a quello delle signore bianche.

Ma con i movimenti per i diritti civili, negli anni 60 sorge un rinnovato senso di identità nella comunità afroamericana che ha portato a una ridefinizione dello stile, l’apprezzamento della bellezza e dell’estetica nera: black is beautiful.

Come una nuova onda degli anni 60-70, prima negli anni 90 e poi 21esimo secolo c’è stata una grande presa di coscienza della comunità nera in tutto il mondo sui propri capelli e un ritorno alle radici afro. Sono nati vari movimenti come il don’t touch my hair, movimento che nasce dalla scrittrice Emma Dabiri e il suo omonimo romanzo (2019) che illustra le difficoltà affrontati dai neri a causa dei loro capelli; o il world afro day celebrato ogni 15 settembre, insieme a varie realtà che promuovono la naturale bellezza dei capelli afro. Accanto a questi ci sono un esercito di bloggers e youtubers impegnati nella valorizzazione del capello afro a tal punto che avere l’afro è diventato un trend, uno stile, una moda.

Ma che cos’è l’afro? L’afro o il fro viene spesso e volentieri definito come un’acconciatura in cui i capelli super cotonati assumono la forma di una sfera, ma non è questo. L’Afro è il tipo di capello che caratterizza la popolazione nera, è un processo naturale di crescita di ricci densi e porosi, è un’identità culturale. Il termine che nasce in America negli anni 60 dell’800, deriva da afroamericano e indica appunto la componente nera della popolazione americana i quali identificano i fro come un legame primordiale con la madre patria. Se l’afro è un processo naturale, a metà degli anni 60 del 900 inizia ad essere controllato e pettinato nella tipica forma sferica che divenne gettonatissimo tra i black panhter party, Diana Ross, Jackson 5 e molti altri, per poi iniziare a scemare negli anni 70 con la sua adozione da parte di non afro discendenti.

Anche se diventato una moda oggi, il fro è un’identità culturale che non passerà mai di moda.

Di Lynda Niamke

Dottoressa in Lingue e culture per l’editoria e in Giornalismo e cultura editoriale. Nata in Costa d'Avorio trasferitasi in Italia all'età di 8 anni, vi ha seguito tutta la sua formazione scolastica. L' amore per l'Africa, la port a fare un'esperienza in Ghana, dove perfeziona quelle che sono le sue conoscenze e competenze orali e tecniche nell'ambito del giornalismo.

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