Se doveste chiedere ai neri che incrociate nel corso della vostra vita “Di dove sei?”, non otterreste una sola risposta simile da altrettanti simili face sorridenti. Uno è nato in Europa, l’altro ci è arrivato e ci è cresciuto, l’altro ancora ci è emigrato per questioni umanitari, di studio o quant’altro. Loro sono tutta una generazione di Afropolitani, molte sfaccettature di racconti e di vissuto. Questo termine è stato coniato da Taije Selasi, scrittrice e fotografa britannica di origine ghanese e nigeriana, ora residente a Roma.
Loro, cioè noi siamo afropolitani, la nuovissima generazione di emigrati africani, che stanno per arrivare o sono già stati presi da uno studio legale, un laboratorio chimico, un locale jazz, una banca di credito nei pressi di casa tua. Siamo afropolitani: non cittadini, ma africani del mondo
Bye Bye Babar è uno dei racconto che rientrano nel cerchio di opere di scrittori afro che affrontano temi come la razza, le classi sociali, la società patriarcale e tradizionalista.
Il suo romanzo d’esordio Ghana must Go, in Italiano La bellezza delle cose fragili, arriva quando ormai Selasi ha attirato l’attenzione e generato l’ammirazione di illustri colleghi, ma questo non toglie che sia un gran romanzo. Di questo paleremo in un’altra puntata.
Piccola curiosità sull’autrice: Taiye è un’abbreviazione di Taiyewo, che in lingua Yoruba significa “vedere e assaggiare il mondo” ed è riferito ad un mito Yoruba sui gemelli (ibeji), secondo cui il primo nato è in realtà il più giovane, e viene mandato dall’altro, il fratello maggiore saggio, in ricognizione ad esplorare il mondo. Il cognome, Selasi, in lingua ewe significa “Dio ha ascoltato”.