Uno dei drammi più persistenti dei paesi africani è il tribalismo che affligge la società e le mentalità. Come tutti gli altri “ismi” discriminatori, anche il tribalismo comporta conseguenze negative.
Il tribalismo, come sentimento di appartenenza a una tribù, ovvero a un gruppo di esseri umani che condividono la stessa cultura fondata su una lingua, è un fenomeno culturale anziano del tutto normale. Si traduce in ogni uomo, come coscienza della propria identità e dei doveri culturali e morali legati ad essa. Finché riguarda solo l’affermazione di un’identità, il tribalismo non è considerato né come un vizio, né come un difetto. Il problema sorge quando si infiltra nella politica o nelle unioni matrimoniali.

Il suffisso “ismo” aggiunto a una parola indica la prevalenza su un qualcosa. Esplorando la definizione di questa parola da un’angolazione diversa, si direbbe che il tribalismo è la priorità data a una determinata tribù a discapito di una o più di un’altra. Così in Africa, si può definire il tribalismo come una fonte di conflitto interetnico basato sul fatto di valorizzare la propria identità, la propria tribù o la propria etnia a discapito di quella degli altri e legato alle ineguaglianze sociopolitiche.
Gran parte dell’Africa è diventata una società basata sul patrocinio piuttosto che sul merito e ciò alimenta il tribalismo. Gli uomini a capo dei partiti politici al potere, che gestivano i posti di lavoro, li hanno distribuiti in modo opportunista e tribale. I dirigenti mettevano ad occupare posizioni alte, amici, parenti e alleati provenienti dalle loro regioni senza controllare la capacità che questi avevano per svolgere tale compito. Persone adatte a questo lavoro, con le capacità intellettive e i talenti richiesti, venivano di conseguenza respinte.
In Sudafrica ad esempio, c’è una forte propensione al tribalismo nel settore privato. Pare che in certi business “bianchi”, principalmente nel settore anglofono, diano la preferenza alle loro comunità, in particolare a quelli che hanno frequentato le stesse scuole e università.
La tragica storia dell’Africa postcoloniale è che quasi tutti i movimenti di liberazione e d’indipendenza giunti al potere hanno permesso solo a una piccola parte della popolazione di godere dei privilegi. Sfortunatamente, la maggior parte di quelli che si sono arricchiti dopo l’indipendenza erano quelli che avevano connessioni e alleanze con dirigenti, famiglie, regioni e gruppi etnici al potere. Questo ha creato un vero e proprio fossato pieno di conseguenze nocive sulla salute della società.
I paesi in via di sviluppo che ce l’hanno fatta dopo la seconda guerra mondiale, in particolare quelli dell’Asia orientale, devono il loro successo al lavoro comune di un’intera popolazione e non di un solo gruppo etnico. Sarebbe quindi ora di cercare una soluzione contro questo fenomeno che rallenta chiaramente lo sviluppo dell’intero continente. Ma come riuscire a cambiare le mentalità sulla questione?
Forse bisognerebbe sviluppare di piu’ e meglio il concetto di ” lavoro comune di un’intera popolazione”.
Una comunita’ non si identifica con l’etnia, ma con la comune condivisione dell’appartenenza ad una societa’. D’altro canto la societa’ deve perseguire l’obiettivo di rendere l’uomo migliore e non quello di favorire gli interessi di casta o di sangue.
E’ un fatto culturale, un fatto di educazione dell’essere umano.
Solo identificando cio’ che e’ meglio per l’essere umano, cio’ che meglio valorizza la peculiarita’ di un essere umano rispetto agli altri esseri viventi sulla Terra; solo allora si potra’ sconfiggere settarismo e tribalismo.
Concordo ! Grazie per aver condiviso con noi il tuo punto di vista, Cormi57. Continua a seguirci 😉