Siamo in piena estate, anche se il clima non la pensa allo stesso modo, ed estate significa vacanza, viaggi e treccine per tantissime. Extention colorate, boxbraids, twist, falt twist, cornrows e chi ne ha più ne metta, sono diventati ormai un valore dell’equazione vacanza + mare = treccine. Appropriazione o valorizzazione culturale? Questo è il dilemma.
Facciamo un passo indietro. Che cos’è l’appropriazione culturale? L’appropriazione culturale è l’uso improprio di elementi significativi di una cultura. In altre parole, quando una cultura dominante prende contenuti da un’altra cultura, decontestualizzandola, rendodola frivola e superficiale, si parla di appropriazione culturale. Quindi, gli elementi presi vengono spogliati del loro valore storico, culturale e/o religioso per poi essere commercializzati e stereotipati. Alcuni esempi? I costumi dei Nativi Americani, con le loro belle piume colorate, sono stati nel corso del tempo banalizzati e ridicolizzati, in modo da diventare degli stereotipi. Alcune celebrità che sull’onda della moda del momento sfoggiano pettinature afro sui social; modelli bianchi che sfilano sulle passerelle con turbanti Sikh, hijab, bindi; o ancora il Mehndi, il tattuaggio all’henné e tanto altro. Attenzione però questo è un argomento borderline in quanto c’è un filo sottile tra appropriazione e valorizzazione culturale. Un conto è indossare e rendere manifesti elementi di una cultura a noi estranea, con rispetto e una profonda conoscenza della storia di quel elemento e quindi farla conoscere anche agli altri, e un altro conto è farlo perché di tendenza. Le treccine hanno dietro una storia dolorosa di oppressione sociale e schiavitù e venivano utilizzati per creare un vero e proprio legame con la comunità di appartenenza; per identificarsi in una certa tribù, o in un determinato status symbol. Per secoli e secoli si è fatto credere alle donne africane che i loro capelli fossero disordinati, brutti e non professionali, ma quando una certa Kim Kardashian sfoggia sui social le sue nuove treccine, tutto cambia improvvisamente. Da appropriazione a valorizzazione, che switch!
Anche nel campo culinario si parla di appropriazione se non deturpamento. Sappiamo tutti quanto il cibo italiano sia un’eccellenza nel mondo, ma chi ne ha mangiato all’estero sa quanto non si avvicinino minimamente al real made in Italy. Pizza e ananas? Un vero insulto al palato e alla storia culinaria italiana così come il sushi all’italiana lo è per il Giappone. Va bene la contaminazione, ma stravolgere un piatto nazionale anche no. È bello apprezzare un piatto, un indumento o un’acconciatura per quello che sono e conoscerli in quanto identità nazionali.