La musica è uno strumento di comunicazione senza confini che permette a tutte le persone di conoscere la cultura altrui. È un mezzo potentissimo che non solo permette di esprimersi, fare ricerca, sperimentare, ritrovare il proprio benessere, ma è anche capace di influenzare generazioni. Basta pensare a come sia cambiata la musica nel corso della storia e a come un genere musicale sia identificativo di una generazione specifica. Come detto la musica non ha barriere, è libertà di espressione, è cultura, è vita. La musica è anche storia, perciò vi accompagno alla conoscenza di quella africana.
Innanzittutto bisogna aver ben note le due macroaree geografiche che, anche per questo tema si distinguono nettamente: il Nord africa e l’Africa subsahariana. Mentre la prima zona ha subito importanti influenze dalla cultura islamica, la seconda rappresenta la culla dell’autentica musica africana. Parlare di musica africana però è molto riduttivo perché come ben saprete, il continente è vasto e ha diverse realtà nazionali; ma il termine ci aiuta ad identificare quella tipologia di musica autoctona che ha due elementi di base comuni a tutti: una tradizione sulla quale poggia e strumenti musicali autoctoni. J. H. Kwabena Nketia, etnomusicologo ghanese, definisce infatti lo studio della musica africana come “lo studio della diversità nell’unità”.
In molti stati africani la musica è un elemento essenziale dei riti e delle celebrazioni; che sia il raccolto, una nascita, il passaggio all’età adulta, un matrimonio o un funerale, tutto è accompagnato dalla musica associata a diverse tipologie di danze. Figure importanti della tradizione sono i griot, i cantastorie che attraverso la musica e il canto tramandano oralmente la storia dei loro popoli. Un altro aspetto fondamentale e comune alla musica trazionale è l’improvvisazione che prende spazio grazie all’oralità. L’improvvisazione si nota particolarmente in quei canti in cui una voce (il griot) fa da guida e le persone sedute o in piedi ma generalmente raccolte in cerchio battono liberamente le mani, rispondendo al cantato oppure cantano il ritornello. L’aspetto polifonico, la complessità strutturale e i procedimenti tecinici non dettati da regole ben precise fanno si che la musica tradizionale ponga l’accento più sulla sensibilità ritmica che sull’armonia e la melodia. Insomma il ritmo prevale su tutto.
Cosa scandisce meglio il ritmo dei tamburi? Gli strumenti a percussione infatti sono l’altra base comune alla musica di tutti gli stati africani. Ai tamburi si accompagnano spesso diversi strumenti idiofoni (strumenti in cui il suono è prodotto dalla vibrazione del corpo stesso dello strumento) come sonagli, campane, gong e sempre in funzione ritmica, strumenti melodici come balafon, flauti, liuti e tanto altro. La differenza tra le varie aree geografiche però sta nel significato che questi possono assumere in relazione all’etnia, alla circostanza e al contesto in cui vengono usati. Presso alcune monarchie, i tamburi sono ad esempio simbolo di potere spirituale e regalità terrena. Ci sono anche i tamburi per la danza, quelli per i riti, quelli parlanti, insomma una vasta gamma con le loro musiche che producono una grande varietà musicale: ninne-nanne, musiche da lavoro, per il raccolto, per il gioco, per danze, per matrimoni, nascite, per cerimonie rituali e tante altre con una ritmicità che li contraddistingue.